L’astronomia mirò soprattutto a uno scopo pratico: fornire un calendario e un orario, utili per prevedere nell’anno la ricomparsa di Sirio e per fissare nella notte gli uffizi dei templi. Nello studio delle stelle, gli egizi non riuscirono mai ad eguagliare i loro vicini sumeri e babilonesi, anche se ci hanno lasciato due contributi fondamentali: la divisione del giorno e della notte in 12 parti uguali e il calendario solare di 365 giorni. Per prevedere nell’anno la ricomparsa di Sirio, che segnava l’inizio della piena del Nilo, e seguire il suo moto, gli egizi apprestarono fin dal Medio Regno una tavola stellare (che troviamo riprodotta più o meno esattamente in numerosi coperchi di sarcofagi), la quale copriva una fascia del cielo pressappoco parallela all’eclittica e situata a sud di essa. In questa tavola, e poi in quella più "aggiornata" compilata nel Nuovo Regno, sono considerate le stelle apparentemente mobili della fascia equatoriale, che gli astronomi egizi chiamarono "le instancabili". Con queste e con quelle fisse o circumpolari, "le imperiture", costituirono anche figure zodiacali. Tali figure, riferite talvolta a una sola stella, talvolta a una costellazione, hanno aspetto umano o animale, legate alla mitologia e alla religione: rappresentano profili di leone, di coccodrillo, di ippopotamo ecc., nonché le forme di una divinità. Il dio Horus era il più raffigurato: a lui erano legati i pianeti Giove, Saturno, Marte. A differenza della matematica e della ragioneria, che impegnavano persone di ogni dove, l’astronomia fu esclusivamente nelle mani dei sacerdoti orari.